Mentre in questi giorni mi rimettevo sulle tracce di Sei Shōnagon e delle sue Note del Guanciale, il mondo indefinito dello zuihitsu è tornato diffusamente a soggiogarmi: eccoci dunque a raccontarne l’origine.
Zuihitsu, 随筆, “lasciar scorrere il pennello”
Quale immagine più evocativa di questa?
Un pennello che segue le segrete risonanze della vita.
Subito, noi e il nostro pesante bagaglio europeo di certezze e definizioni, siamo come calamitati verso quella delicatezza, che certamente leggerezza non è, che ci sembra appartenere all’impalpabile mondo giapponese.
Cos’è lo zuihitsu?
Così inafferrabile, che talvolta viene definito come una forma di prosa poesia.
Ancor più che un genere letterario, sembra un concetto.
Brevi narrazioni, elenchi che fotografano un istante del reale e lo legano agli altri attraverso connessioni intime e personali.
Nessun accenno al mondo al di fuori: alle lotte politiche, alle insidie sociali. Volutamente, non ne viene fatta alcuna menzione.
Il pennello corre veloce come le associazioni di pensiero che l’autore vuole rappresentare.
Nello zuihitsu, è la forma che modifica il contenuto.
Mentre leggiamo i brevi brani, gli elenchi, i frammenti di pensiero, il viaggio che compiamo è un viaggio nella mente del suo autore e nella sua visione delle cose, più che nelle cose stesse.
Il pennello dà forma al pensiero, che prende vita, corre veloce e si insinua delicatamente nel reale.
Qual è l’origine dello zuihitsu?
Da dove trae origine il termine zuihitsu?
Il primo esempio di zuihitsu, come già abbiamo raccontato, è certamente il Makura no Soshi di Sei Shōnagon.

Cionondimeno, la parola stessa, zuihitsu, sembra guardare alla letteratura cinese di allora. Qual è dunque l’origine dello zuihitsu?
La parola Zuihitsu apparve, anche se successivamente rispetto all’epoca di Sei, nella raccolta Spontaneous essays of the Studio of Forbearance (Rongzhai suíbǐ 容齋隨筆 ), che risale al periodo degli Song Meridionali (1127–1279): 1200 “componimenti” dello studioso cinese Hong Mai (1123-1202), scritti negli ultimi 40 anni della sua vita. In essi, si parla di letteratura, astronomia e persino medicina.
I componimenti scritti da Hong Mai si rifacevano al genere letterario della letteratura cinese classica, il biji (lett. “note in punta di pennello”, 筆記), anche questo in realtà un “non genere”, comparso in Cina durante il regno Cao Wei (220-265), ma maturato solo durante la dinastia Tang (618-907). Tutto torna, non sembra?
In più, come si può notare, le parole suíbǐ e zuihitsu sono descritte dai medesimi ideogrammi: 隨筆. Zuihitsu è infatti la lettura on’yomi dei due ideogrammi (di on’yomi e kun’yomi ne parleremo in uno dei prossimi articoli; al momento basti sapere che è la lettura “copiata” dalla lettura cinese degli ideogrammi).
Chi per primo definì le Note del Guanciale come esempio di zuihitsu?
La storia travagliata di questo genere continua nei secoli.
In effetti, è importante osservare come la definizione di zuihitsu conferita a Note del Guanciale (Makura no Sōshi, 1000), Racconti di un Eremo (Hōjōki, 1212) e Ore d’ozio (più noto con il titolo originale, Tsurezuregusa, 1330-1332), come spesso accade, sia di molto posteriore.
Nel 1481, la parola zuihitsu venne utilizzata per la prima volta da Sanjōnishi Sanetaka con riferimento al Tōsai zuihitsu di Ichijō Kanera, libro strutturato in 11 categorie tra le quali piante, animali, ma anche dettami buddhisti e poesie. Qualcosa di familiare?
Dobbiamo però attendere ancora: l’etichetta di zuihitsu verrà infatti affibbiata a queste opere solo nel XVIII secolo!
Fu il poeta e scrittore Ban Kōkei (1733-1806), nel tentativo di dare una classificazione ai generi letterari, monogatari (traducibile con “romanzi”) e nikki (diari), a capire come le Note del Guanciale non fossero né l’uno né l’altro.
Nonostante questa prima distinzione, non fece però intendere come lo zuihitsu fosse un genere diverso dagli altri. Anzi, anche lui si accodò a tanti prima di lui, e tacciò l’opera di frivolezza in quanto opera di finzione, senza accenni alla vita reale e inconclusiva.
La sorte dello zuihitsu nei secoli
Il MedioEvo e il Buddhismo
Mentre in uno dei prossimi articoli vi parlerò dell’origine dello zuihitsu moderno (sì, anche dei giorni nostri!), ora volevo in realtà concentrarmi sul periodo di sfortuna di questo genere, specialmente se pensiamo alle Note del Guanciale della scrittrice Sei Shōnagon.
Nel trio di opere, che prima abbiamo annoverato come appartenenti al genere zuihitsu (Note del Guanciale, Racconti di un Eremo e Ore d’ozio), pare infatti che le Note del Guanciale siano la raccolta che, pur capostipite di un genere, sia stata un po’ snobbata nei secoli.
Questo fatto, che pur accade continuamente a causa di diverse mode e tendenze, fu causato, nel periodo medievale, dal giudizio di frivolezza con cui l’opera venne tacciata.
In effetti, la critica che veniva mossa era di non fare cenno alcuno agli eventi storici, e spesso drammatici, del tempo.
La cosa, però, interessante è che a decretarne la mancanza di profondità, rispetto alle altre due opere, fossero stati degli studiosi, uomini, in un’epoca in cui il Buddhismo era in auge. Si capisce bene come un testo come lo Tsurezuregusa, invece, scritto da un monaco buddhista (Kenko Yoshida) abbia superato più facilmente la prova del tempo.
Non fu certamente solo questo il motivo per il quale il genere non si mantenne popolare nel tempo e ora vediamo il perché.
La difficoltà di interpretazione del genere
La difficoltà di definizione di questo genere è certamente il motivo che ha reso così difficile il perdurare della sua fama attraverso i secoli.
Come abbiamo visto, la difficoltà anche solo di attribuzione del nome fu un processo durato secoli.
L’impalpabilità che dunque ora ci attrae e ci affascina è stata, in un certo senso, anche la sua debolezza.
La visione intimistica della realtà, che contempla e celebra ogni più piccolo dettaglio rendendolo interessante e incantevole, non era in linea con il gusto e gli interessi di quel tempo.
Nonostante ciò, forte è il fascino che tuttora questo genere letterario esercita e possiamo dire che oggi, queste opere sono studiate e apprezzate al pari di altre più famose, come il Genji Monogatari (del quale non vedo l’ora di scrivere!). Al contempo, fortissima è l’ispirazione che queste opere hanno dato alle moderne forme di zuihitsu. Che ne dite? Saranno come quelle classiche o assumeranno forme diverse?
E mentre ci lasciamo soggiogare dalla travagliata vicenda dell’origine dello zuihitsu, vi lascio con questa suggestiva immagine tratta dalle Note del Guanciale…
(…) Conducono anche un servo dotato di quella grazia che si definisce “un fiore raccolto” e che batte con eleganza il gong (…).
Sei Shōnagon, Note del Guanciale (sezione 120)
FONTI:
- L. Bienati, A. Boscaro (2010). La narrativa giapponese classica. Venezia: Marsilio Editori
- Sei Shōnagon (2014). Note del Guanciale, traduz. a cura di L. Origlia. Milano: SE
- D. Drayton (2015), Staying Alive: A Contemporary Rejuvenation of the Biji. University of Technology, Sidney (primary supervisor: J. Sue)
- Gergana Entcheva Ivanova (2012), Knowing women: Sei Shōnagon’s Makura no Sōshi in early-modern Japan, University of British Columbia, Vancouver
La cultura giapponese mi affascina
Affascina davvero!