Sapete quanto ci piaccia la storia e, in particolare, la storia delle parole.
Nell’ultimo articolo, vi avevamo promesso che avremmo continuato a parlarvi di kotodama e, quindi, eccoci qui.
Per ricapitolare brevemente, avevamo introdotto il concetto attraverso le parole dello studioso Watanabe S..
Ne è emerso un concetto strettamente legato alla storia del Giappone ed alle sue tradizioni, ma anche di difficile intuizione per chi vi si approcci.
In quest’articolo, però, cercheremo di introdurci più a fondo, insinuandoci nella storia della parola stessa.
Quanto diremo qui sarà interessante non solo per chi sia interessato a questo specifico argomento, ma anche per chi voglia capire qualcosa in più del Giappone in genere.
Indice
I primi testi
Kotodama è un termine piuttosto antico, e quindi anche i primi riferimenti sull’origine di questa parola, andranno riscontrati nei primi testi.
In particolare, se ne trovano evidenze nel Man’yōshū (万葉集, lett. “racconta delle diecimila foglie”).
Si tratta della più antica raccolta di waka, composta intorno alla seconda metà del VIII secolo.
Waka (和歌) sono le poesie in “stile giapponese”.
Ogni componimento è formato da 5 versi secondo il seguente schema sillabico: 5-7-5-7-7.
Si noti che il termine waka è formato da wa (和, “armonia”, “ordine”) + ka (歌, “canzone”, “poesia”). Per la storia del kanji wa e di come sia arrivato a definire l’intero Giappone si rimanda a quest’articolo.
Stando a quanto abbiamo detto sinora, ovvero che il kotodama è parola di origine antica, siamo indotti a ritenere che i riferimenti all’interno di questa raccolta siano plurimi. Non è vero?
Sorprenderà sapere, invece, come la parola kotodama, in un totale di 4496 componimenti, venga citata solo 3 volte.
Come si scrive kotodama in ideogrammi?
Origine del termine kotodama
Se si cerca nei dizionari moderni, kotodama è scritto così: 言霊. La prima parte è illustrata dall’ideogramma che oggi significa “dire”, “parola”, “discorso”. Il secondo è l’ideogramma di tama, ovvero “spirito”.
Scopriamo, però, che non era davvero così in passato, dove kotodama veniva scritto anche 事霊, e raramente 霊言, ovvero con i due kanji invertiti!
Iniziamo ad analizzare la prima parte, koto.
La prima parte: origine di koto
La difficoltà di comprensione del concetto di kotodama inizia proprio da qui, dal capire l’origine della prima parte, ovvero koto.
All’epoca della composizione del Man’yōshū, la scrittura avveniva attraverso l’uso di ideogrammi cinesi, utilizzati solo per il loro valore fonetico. Altre volte, venivano utilizzati come semantogrammi (ovvero per il loro significato).
Koto, in effetti, veniva scritto sia con l’ideogramma cinese di “discorso”, “parola” (言), sia con quello di “affare”, “questione”, “fatto” (事). Attualmente non è dato sapere se l’origine di koto, della parola kotodama, sia riconducibile al primo oppure al secondo ideogramma.
In verità, comprenderlo non è nemmeno così determinante se ci si immedesima nell’ottica degli scriba giapponesi dell’epoca. L’etimologia, che per noi è lo studio dell’origine della parola, aveva un’accezione un po’ diversa per i Giapponesi del tempo. Come per gli antichi Greci (dove etimologia è composta da etimos, ovvero “il significato intimo della parola” + logos, ovvero “parola”), anche per gli antichi Giapponesi la scrittura di una parola doveva essere una ricerca del vero e corretto significato, al di là da ogni modifica successiva.
Cosa ne deduciamo da questa considerazione, quindi?
La “parola” è la “cosa” e la “cosa” è la “parola”
Per gli scriba del tempo, scrivere koto con il semantogramma di “parola” o di “affare” essenzialmente era lo stesso, in quanto per loro la “parola” era la “cosa”, e la “cosa” la “parola”.
Vi è dunque un’identità tra il fatto ed il racconto dello stesso.
言 = 事
KOTO = KOTO
PAROLA = FATTO
E cos’è questa identità se non un arricchimento del concetto stesso di kotodama?
Se ricordate, infatti, il kotodama non è altro che il ritenere che la verbalizzazione di un pensiero possa renderlo reale.
Osserviamo la figura qui sotto, ovvero il triangolo semiotico presentato da Ogden e Richards nel 1923 nel libro The Meaning of Meaning (anche se venne teorizzato ben prima) e prendiamo come esempio il segno /sedia/ (nostro significante).
Per chi non conosca il nostro codice, /sedia/ non avrà alcun valore. Per spiegarlo, potremmo tradurlo in altre lingue, o magari disegnarlo, ovvero useremo altri significanti. A quel punto, /sedia/ verrebbe compreso anche qualora una “sedia” non fosse davvero presente.
Il significato del nostro segno è infatti determinato dalla cooperazione tra segno (o simbolo), termine (cioè il concetto) e oggetto (cioè la realtà rappresentata dal segno).
Ne deriva che il segno (simbolo) non ha alcun rapporto diretto con l’oggetto concreto, ma solo con il suo concetto (vi è una linea tratteggiata tra i due nella figura).

Non così nel kotodama, dove vi è confusione tra il segno (simbolo) e la realtà che esso rappresenta (l’oggetto). Nella nostra figura, collegheremmo con un segmento il segno e l’oggetto, non più con una linea tratteggiata.
Questo perché i simboli vengono visti come aventi il potere di realizzare il loro significato (termine).
La seconda parte: origine di dama
Giunti sin qui, ecco che ricerchiamo le radici del kotodama, attraverso l’origine della seconda parte della parola: dama. Tranquilli: l’analisi sarà molto più semplice.
霊 è traducibile con “spirito” o “anima”. Gli antichi Giapponesi utilizzavano almeno tre modi per indicare “spirito”:
Ti: il termine più antico e per questo anche di più incerto significato. Il misterioso, divino, a tratto magico, potere che alberga in certe persone e cose. Tale termine è così antico che anche nei primi testi veniva usato come semplice suffisso per indicare le divinità.
Tama: sembra sia il secondo termine ad essere entrato in uso, per poi venire rapidamente sostituito anch’esso. Indicava l’entità che vive nelle persone, ma anche negli elementi della natura (paesaggi, alberi, ecc), e in certi preziosi e particolari oggetti d’arte.
Interessante è notare come tama sia separato dall’oggetto che abita e che possa esistere al di là della morte fisica dello stesso. In questa particolare accezione, ovvero quando tama esiste senza un supporto materiale, è ritenuto in possesso di particolari e misteriose capacità, quasi sempre di natura benigna.
Kami: originato dal cinese shen (神), è il concetto più duraturo nel tempo. Si tratta di un termine generico per divinità ed entità soprannaturali. Gli antichi Cinesi, però, oltre a shen, utilizzavano anche altri due termini in questo ambito: hun (魂) e po (魄). Il primo, sembra alludere alla parte spirituale dell’uomo che ascende al cielo dopo la morte. Tale accezione sembra essere quella più vicina alla parola giapponese tama. Il secondo, invece, po, è lo spirito di livello inferiore che, dopo la morte del corpo, lo segue nella tomba.
Conclusioni sull’origine del termine kotodama
Analizzando l’origine di questa parola, vediamo come il significato di kotodama sia quello di uno spirito (tama) che viva all’interno del linguaggio (koto), un veicolo dal quale però può essere rimosso. È necessario quindi che lo spirito senza più un corpo venga invocato… e questo, signori e signore, è il rituale del kotoage (言挙げ, lett. “elevare, invocare le parole”), del quale però parleremo estesamente nei prossimi articoli.
FONTI:
- Miller, R. (1977). The “Spirit” of the Japanese Language. Journal of Japanese Studies, 3(2), 251-298 (consultato il 26/05/2021).
- Claudio Faschilli, On the Use of Etymology in Philosophy: An Analytical Study of a Continental Attitude, in “Rivista di filosofia, Rivista quadrimestrale” 3/2017, pp. 381-402 (consultato il 26/05/2021).
- Hara, K. (2001). THE WORD “IS” THE THING: The “Kotodama” Belief in Japanese Communication. ETC: A Review of General Semantics, 58(3), 279-291 (consultato il 31/05/2021).
- Il triangolo semiotico, Wikipedia (consultato il 31/05/2021).
FOTO:
- ReijiYamashina, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons
- Il triangolo semiotico, Wikipedia
Fantastico. È il pensiero che genera la materia di Giordano Bruno e le innumerevoli applicazioni new age della legge della manifestazione. Grazie per l’approfondimento così denso che stratifica i miei studi… arriverò a collegare la parola al suono pitagorico quale origine dell’universo. Ci sto lavorando! Paola
Meravigliosi i collegamenti che si generano tra argomenti apparentemente distanti. Lieta che questo articolo possa essere parte di un discorso più ampio. E che dire? Approfondirò anch’io con vera gioia! Grazie mille di questi notevoli spunti.