Fino ad ora abbiamo parlato di Kotodama nella sua accezione più poetica. Di per sé, già la sua stessa traduzione, “spirito della parola”, non può che accentuare ulteriormente la rappresentazione, quasi mistica, che abbiamo del Giappone. Il concetto di kotodama, però, è assai più complesso, e ha ripercussioni profonde che hanno a che fare con l’identità del popolo giapponese stesso, o meglio, con la costruzione che ne è stata fatta.
Vediamo in che modo.
L’incontro con altre culture
Raccontando dell’origine di questo concetto, osservammo come suddetta parola fosse in realtà poco presente nei primi testi.
È spontaneo chiedersi perché e come il kotodama sia diventato così importante anche ai giorni nostri, tanto da suffragare quell’idea che sia parte dell’identità giapponese stessa. La risposta va riscontrata al di fuori del Giappone, nel momento in cui esso si incontra, e scontra, con il mondo esterno.
– La Cina
L’incontro con la Cina a partire dal III secolo (ricordate la storia della regina Himiko del regno di Wa?) diede l’opportunità al Giappone di introdurre la cultura, il pensiero ma anche il loro sistema di scrittura. Molto, in effetti, deve il Giappone di quel tempo alla Cina di allora.
Naturale è dunque pensare come tale rapporto, pur avendo generato un proficuo scambio di valori, sia stato anche un momento piuttosto destabilizzante per i Giapponesi.
Nel momento dell’incontro con una civiltà cui tanto dovevano, fu importante per i Giapponesi ricordare che essi erano un popolo semplicemente differente da quello che stavano fronteggiando. Non inferiore o superiore, ma semplicemente diverso.
Il kotodama, dunque, questo spirito della parola del quale la lingua giapponese sembra essere in possesso e che quindi la rende unica rispetto alle altre, fu la risposta ad una crisi di identità. Permise infatti di introdurre idee, concetti, valori e anche modi di scrivere pur mantenendo unica e distinta la propria lingua.
Con l’andare del tempo, e per quasi un millennio di storia poi, il concetto di kotodama non venne praticamente più ripreso fino a metà Ottocento, come vediamo nel prossimo paragrafo.
– La fine del sakoku e l’apertura al resto del mondo
Con sakoku (鎖国, lett. “paese blindato”) si intende il periodo che va dal 1641 al 1853 in cui l’accesso e l’uscita dal Paese erano impediti (salvo alcune eccezioni). Questo comportò una chiusura del Paese per più di due secoli, fino al famoso episodio delle navi nere (nome dato per antonomasia a tutte le navi “occidentali”) ancorate nella baia di Tokyo il 8 luglio 1853.
Leggenda vuole che lo shogun di allora, Tokugawa Ieyoshi, fosse talmente scosso dalla gravità della minaccia straniera, da ammalarsi e morire nel giro di un mese!
Anche a metà Ottocento, successe proprio quanto accaduto più di un millennio prima con la Cina.
Un iniziale timore di essere inferiori (auto-orientalismo) si tradusse nel tempo nel tentativo, da parte delle istituzioni, di creare e rafforzare il senso di identità popolare, con risvolti quanto mai nazionalistici.
Nel 1890, il Rescritto Imperiale sull’Educazione fu proprio una delle naturali conseguenze. 315 caratteri che venivano letti a gran voce in tutte le occasioni scolastiche più importanti, e che dovevano essere memorizzati dagli studenti. In questo testo si incoraggiava, in caso di necessità, ad “offrirsi coraggiosamente allo Stato“; e in tal modo “custodire e mantenere la prosperità del Nostro Trono Imperiale coetaneo del cielo e della terra”.
Tale slancio nazionalistico venne naturalmente distrutto dall’esito della Seconda Guerra Mondiale, che riportò il Giappone a denigrare nuovamente la propria cultura e, quindi, al cosiddetto auto-orientalismo.
Fu solo negli Anni Sessanta che, per spiegare al meglio il miracolo economico in atto, fu rispolverato quel corollario di teorie che mirava a costruire l’identità del popolo del Sol Levante.
Il kotodama venne dunque reintrodotto nel discorso di identità giapponese, all’interno di un sistema di teorie e valori, noto come Nihonjiron (日本人論, lett. “teorie sui Giapponesi”), che enunciamo più approfonditamente nei prossimi paragrafi.
Kotodama e identità giapponese: il NihonJiron
– Una premessa: significati e significanti nella costruzione dell’identità di un Paese
Il NihonJiron è stato definito il “discorso predominante sull’identità giapponese”.
Un discorso ha l’obiettivo di fissare un concetto, in questo caso l’identità giapponese, per mezzo delle parole e quindi del linguaggio. Il languaggio, però, come ben sappiamo, è per sua natura mutevole e, a causa di ciò, anche la percezione della società e dell’identità è soggetta a continuo cambiamento.
Anche qualora il discorso riuscisse nel suo intento, ovvero di attribuire un significato al suo significante, non sarebbe una vittoria di lunga durata, proprio per questa caratteristica della lingua.
In linguistica, un significante è una forma che rinvia ad un contenuto. Si tratta della parte fisicamente percepibile del segno linguistico.
Quando più discorsi cercano di dotare del proprio significato un segno, si hanno i cosiddetti “significanti flottanti” (floating signifiers), i quali sono come “segni vuoti” che non hanno un proprio preciso significato. Se i “significanti flottanti” riguardano un’intera società allora si parla di “miti”.
I “miti” possono arrivare ad imporre una particolare visione di ordine sociale, e dunque a definirne caratteristiche interne e nemici esterni.
Proprio qui si insinua il concetto di NihonJiron e della costruzione dell’identità nazionale giapponese.
Vediamo più approfonditamente di cosa si tratta.
– Cos’è il NihonJiron
Il NihonJiron è l’insieme delle teorie che vuole identificare la vera natura della cosiddetta “giapponesità“.
Eccone alcuni principi:
- Il Giappone è un Paese omogeneo e la sua cultura, la sua lingua e le sue persone sono unici. La cultura giapponese può essere considerata superiore alle altre.
- I Giapponesi hanno un profondo senso della collettività, contrariamente agli “Occidentali” che valorizzano il singolo.
- In Giappone il valore dell’armonia è superiore a quello del conflitto. Più importante è l’emozione della razionalità.
Questi concetti ci suonano piuttosto familiari, non trovate? Rispecchiano infatti quell’immagine armoniosa e poetica che ci siamo costruiti del Giappone.
Almeno due considerazioni ci preme fare:
- In queste tesi è annullata ogni forma di diversità insita all’interno dei due gruppi. Sia i cosiddetti Occidentali sia i Giapponesi sono visti come gruppi omogenei. Non vi è alcuna specificità;
- Tali tesi possono sussistere solo nell’ambito di un confronto con l’altro (gli “Occidentali”). Non hanno ragione d’esistere nel momento in cui il Giappone si chiude al resto del mondo. Nascono invece dal timore di una presunta inferiorità.
Come si collegano questo teorie al kotodama?
– Kotodama e NihonJiron
Il kotodama è ciò che sembra rendere unica la lingua giapponese.
È il suo tratto distintivo, che la rende di difficile comprensione per chi non sia un parlante nativo e, talvolta, anche per chi lo sia. La rende anche superiore (riusciamo ora a ricollocare al meglio le parole di Watanabe Shōichi e il suo discorso sulla differenza tra “lingue vive” e “lingue morte”).
Dunque, è proprio in questo senso che il kotodama si inserisce all’interno delle teorie sull’identità giapponese e le rinforza.
In fondo, il NihonJiron è una teoria fortemente basata sul linguaggio, e trova proprio nel kotodama uno dei suoi più utili fondamenti.
Ma non abbiamo forse detto che la vittoria di un mito non è mai di lunga durata?
Quali altri concetti potrebbero entrare nell’agone? Secondo David Rear, della Chuo University (Tokyo), le alternative all’egemonia del NihonJiron sono due: kosei (個性, individualità) e kokusaika (国際化, internazionalizzazione)… Ma le vedremo meglio più avanti!
FONTI:
- POULTON Cody M. (1994). Words With Power: ”Kotodama” Reconsidered. KYOTO CONFERENCE ON JAPANESE STUDIES 1994 III (consultato 22/6/2021).
- SAKOKU (consultato 22/6/2021).
- REAR, D. (2017). A Critical Analysis of Japanese Identity Discourse: Alternatives to the Hegemony of Nihonjinron. Asian Studies: Journal of Critical Perspectives on Asia, 53(2).
- Significante (consultato il 22/6/2021).
- Anthony J. Liddicoat (2007) Internationalising Japan: Nihonjinron and the Intercultural in Japanese Language-in-education Policy, Journal of Multicultural Discourses, 2:1, 32-46 (consultato il 22/6/2021).
FOTO:
NEL TESTO: stampa giapponese del 1854