Matrimonio shintoista: una tradizione inventata
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Kami è una parola giapponese che viene spesso associata a una traduzione impropria. Molto spesso, infatti, si traduce semplicemente con la parola “divinità”.
Scoprirai, però, che questa parola ha un significato molto più ampio e include entità di varia natura.
Scopri con noi chi sono i Kami giapponesi. Anzi, forse non sarebbe meglio chiederci cosa sono?
In ideogrammi, Kami si scrive così: 神.
La parte sinistra (礻, una forma semplificata di 示) significa “santuario”. La parte destra (申), invece, reca il significato di “parlare”.
Questo ideogramma era proveniente dall’antica Cina, dove 示 rappresentava un altare sacrificale in pietra a tre gambe (come lo stesso ideogramma in parte ci comunica). Per utilizzarlo in ideogrammi composti, 示 si trasforma in 礻, con la riga superiore che diventa una sorta di virgoletta. Spesso, a questo ideogramma si attribuiva la definizione di “manifestazione” o “venerazione”.
Quando l’ideogramma giunge in Giappone, anziché riferirsi al Taoismo e al Confucianesimo come in Cina, inizia presto a essere attribuito al mondo shintoista.
Forse, a questo proposito, ricorderai che il popolo Ainu, abitante il Nord del Giappone, associava al mondo divino, in modo molto simile a quello shintoista, la parola Kamuy. La questione è molto dibattuta, e non si sa quale parola derivi dall’altra o se, piuttosto, siano entrambe frutto di una matrice comune.
Nel corso del tempo, questo concetto subisce un nuovo cambiamento quando il Giappone entra in contatto con la cosiddetta cultura occidentale. A quel punto, questa parola inizia a essere associata al divino in tutte le religioni.
A questo punto, però, chi sono davvero i Kami per i Giapponesi?
La risposta, un po’ come spesso accade, è insita nella domanda.
Per molti, la traduzione esatta è semplicemente divinità. Per la verità, gli stessi dizionari riportano ben più di un significato.
Indica infatti gli “dèi”, gli “spiriti”, ma anche “esseri supremi”, ma anche la “mente” e, in generale, “tutto ciò che è venerato”.
Dal momento che nella lingua giapponese non esiste singolare o plurale e nemmeno genere, Kami è un concetto fluido che pervade ogni cosa, abbracciando entità diverse, come tutto ciò che vive ed esiste in natura, dal tuono alla montagna. Possono essere animali, piante, protettori di specifici eventi della vita delle persone, come la nascita o la crescita, ma possono anche essere spiriti di eroi e spiriti degli antenati. Vi sono quelli della casata imperiale, ma anche gli antenati venerati da ogni famiglia.
Siamo ritenuti Kami anche noi, esseri umani?
Da un punto di vista logico si potrebbe pensare di sì, ma non è difficile credere di poter onorare noi stessi di un simile titolo?
C’è un’espressione in lingua giapponese che dovrebbe indicare il numero di Kami venerati. Yaoyorozu-no-kami (八百万の神), letteralmente “8 milioni di Kami”.
Questa espressione, però, non va valutata per il suo significato letterale. L’utilizzo del numero 8 non è affatto un caso e sottende il significato che il numero dei Kami giapponesi sia infinito. Anzi, è in continuo aumento.
Nel Kojiki, il primo libro mai scritto nella storia del Giappone, si parla di 300 tipologie diverse di Kami, ognuna con la propria specifica funzione.
Anzi, così come i fedeli devono onorarli, onde evitare spiacevoli conseguenze, anche queste entità sono tenute a onorare chi li venera ottemperando il compito che è parte della loro natura o del contesto in cui vivono.
Idealmente potremmo creare una lista di Kami, a partire dai primi testi giapponesi. Il Kami del fuoco, il Kami dell’Isola di Shikoku, del tuono, degli onsen, e così via.
L’epopea di alcuni di loro è diventata famosa anche al di fuori dei confini del Paese. Izanami, Izanagi e la loro figlia Amaterasu, ad esempio, sono tra i protagonisti della mitica genesi del Giappone e della casata imperiale.
Vi sono però una miriade di altri Kami che, mano a mano, ti presenteremo nel nostro sito.
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