Donne Ainu. Si può essere le più dimenticate tra i dimenticati?

La domanda è certamente tautologica e ne scoveremo presto i motivi raccontando del popolo Ainu e, in particolare, delle sue donne.

In svariate occasioni, in questo blog, abbiamo dato vita ad articoli dedicati alla cultura ed alle tradizioni del popolo Ainu in Giappone. Un popolo affascinante, ancorché sconosciuto, abitante in massima parte l’isola più settentrionale del Giappone, Hokkaido, un tempo chiamata Ezo.

In quest’articolo, cercheremo di approfondire alcuni aspetti della condizione delle donne Ainu, delle quali il mondo è quasi completamente all’oscuro.

Vediamo perché.

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1. Donna Ainu suona il tonkori, strumento tradizionale (2008)

Torniamo innanzitutto al nostro quesito...

Secondo te si può essere i più dimenticati tra i dimenticati?

Ovviamente sì, e la storia è pregna di esempi. Ogni giorno siamo catapultati nelle storie di migliaia di persone e di popoli, spesso finendo con il dimenticarcene pochi minuti dopo.

Ma è questa una ragione sufficiente per non parlarne? È forse un motivo sufficiente per lasciare che storie e persone restino, e continuino a restare, ai margini della storia?

Se sei qui è perché anche tu, come me, pensi di no. Del resto, qualcuno disse “sii il cambiamento che vuoi vedere del mondo”…

Eccoci dunque a voler indagare più a fondo e scoprire realtà che, altrimenti, resterebbero sconosciute e, quindi, dimenticate.

Se hai seguito i precedenti articoli sul popolo Ainu, sai molto bene quale sia stato e sia tuttora il destino del “popolo bianco del Giappone”. Abbiamo anche iniziato a raccontare della loro società e dei ruoli di uomini e donne, ricordi?

In realtà, il tema di cui vorrei parlarti oggi era solo parzialmente accennato in quegli articoli, e sono lieta di iniziare a dargli voce oggi.

Se il popolo Ainu è stato per anni negletto dalle istituzioni giapponesi, le donne Ainu sono state ancora più dimenticate dal loro stesso popolo.


Il mondo delle donne Ainu

A fine ‘800, un Reverendo inglese ci racconta degli Ainu e delle loro donne

Pochi giorni fa, sono incappata in un libro che non avrei mai sperato di riuscire a trovare. Nonostante sia piuttosto famoso e facilmente reperibile online, mi sembrava il Santo Graal dei libri narranti la vita degli Ainu e quindi, fino all’altro giorno, non l’ho mai effettivamente cercato.

L’emozione di trovarlo lì, alla portata di chiunque, nell’immenso database di Internet Archive mi ha fatto sobbalzare dalla sedia.

L’ho scaricato assai titubante, ho atteso con pazienza… E, infine, il libro era davvero mio!

Sto parlando di “The Ainu of Japan. The Religion, Superstitions, and general History of the Hairy Aborigens of Japan“, scritto dal Reverendo John Batchelor.

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2. “The Ainu of Japan” di John Batchelor, Londra 1892

Nel blog, già citammo il Reverendo quando narrammo degli esordi di Maraini in terra nipponica

Chi era davvero John Batchelor? Lo raccontiamo qui

Quando Maraini e Batchelor si conobbero sul finire degli Anni Trenta, Batchelor viveva in Giappone già da moltissimi anni.

Egli, infatti, missionario di fede anglicana, appena ventenne, venne inviato in Asia dalla Church Missionary Society.

Dal 1877 al 1941, anno in cui tornò in Inghilterra a causa della guerra, visse in Hokkaido tra gli Ainu.

Più di 60 anni di vita in Giappone che valsero la compilazione, tra gli altri testi, di:

  • una prima grammatica di lingua Ainu (ricordiamo che la lingua Ainu è solo orale);
  • un primo dizionario inglese-Ainu;
  • la promozione di una prima raccolta scritta di Yukar (epica Ainu, della quale spero di parlarvi al più presto!).

Un patrimonio immenso di storie e tradizioni che forse, considerando come sono poi andate le cose, sarebbe andato perduto.

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3. Foto scattata alla fine degli Anni Settanta dell’Ottocento per la Church Missionary Society. Il Reverendo John Batchelor è fotografato in centro

Sarebbe però un errore leggere Batchelor senza un filtro…

Leggendolo, è infatti naturale porsi alcune questioni. Scorrendo tra le recensioni, per esempio, parrebbe quasi un libro da evitare a tutti i costi!

Io però non sono dello stesso avviso.

La sua testimonianza va sicuramente letta con una certa accortezza, ricollocando molti dei giudizi che ivi sono espressi.

In fondo, si trattò pur sempre di un reverendo anglicano in una terra straniera con l’esplicito compito di evangelizzare un popolo che gli stessi conterranei, i Giapponesi, giudicavano inferiore e selvaggio!


La testimonianza di Batchelor sulle donne Ainu

4. Donna Ainu con bambino

Le parole che il reverendo attribuisce alle donne Ainu non sono certamente delle più edificanti.

Il capitolo loro dedicato infatti si apre così:

A prima vista le donne Ainu sono sorprendentemente brutte, sporche e davvero deboli.
Paiono pateticamente infelici e non attraenti“.

Da J. Batchelor, “The Ainu of Japan”, Londra 1892 (p. 34).

Più avanti nel testo, però, con una certa indulgenza, il reverendo ne spiega il motivo.

Dedica molte pagine a parlare di uno dei tratti distintivi delle donne Ainu, ovvero i loro tatuaggi, che secondo lui ne deturpano la bellezza. Poi, però, adduce il vero motivo.

Le donne Ainu sono trattate come esseri inferiori dalla maggior parte degli uomini (…).
Sono considerate alla stregua di schiave“.

Da J. Batchelor, “The Ainu of Japan”, Londra 1892 (p. 38).

Secondo l’autore, nulla vi è di bello nella vita di una donna Ainu.

Dall’alba al tramonto, essa ha su di sé il peso del lavoro fuori e dentro casa.

Le uniche occasioni di svago che le siano fornite sono rappresentate da matrimoni e dallo iyomande, la “cerimonia dell’orso”.

Una vita grama, dunque, dibattuta tra molte attività:

FUORI CASA:

  • un pesante lavoro di procacciamento del cibo che deve permettere alla famiglia di sopravvivere durante l’inverno;
  • la raccolta delle fibre di legno (soprattutto olmo) che serviranno poi a confezionare gli attush, gli abiti tradizionali;
  • la pesca del salmone verso fine anno (quando assistono gli uomini).

DENTRO CASA:

  • la cura dei figli;
  • la cura della casa e del focolare;
  • il confezionamento e rammendamento degli abiti;
  • la gestione del cibo (in particolare sono compiti della donna la pulizia, affumicatura ed essicazione del pesce);
  • last but not least, l’attenzione costante a tutti i bisogni del marito.

Da quello che scrive Batchelor, il lavoro non sarebbe così difficile se non fosse distribuito in maniera omogenea tra uomini e donne, cosa che però, secondo la sua testimonianza, non è.

Sarà davvero così?


Le Ainu menoko: significati nascosti dietro alle parole

Le donne Ainu, venivano rappresentate assai di frequente all’interno di cartoline che venivano poi distribuite per il Giappone (è possibile visionarne alcune a questo link).

Il modo in cui però le Ainu menoko (donne, ragazze Ainu) venivano rappresentate spesso non era frutto di una volontà di conoscenza ma altresì di un modo per dimostrare la superiorità giapponese.

Lo scopo infatti infatti era quello di dimostrare ai Giapponesi che il proprio Paese era del tutto in grado di governare colonie e popoli.

Ainu-menoko (女の子)
letteralmente significava solo “donna, ragazza Ainu”.
Con il tempo, però,
assunse connotazioni diverse
e dispregiative,
come si vedrà di seguito.

Le cartoline erano atte ad evidenziare tutti quegli aspetti che ponevano distanza tra la cultura Ainu e quella giapponese. Enfatizzare i tatuaggi attorno alle labbra o i modi particolari di danzare o salutare era un modo per soddisfare la curiosità verso qualcosa di “davvero strano”.

Un esempio?

Le donne Ainu sorridevano poco nelle fotografie, al contrario delle altre donne che vivevano nelle colonie giapponesi. Questa loro caratteristica, ad esempio, anziché vista come una naturale ritrosia davanti all’invasore, era identificata come un segno di ostinazione, anch’esso segno di inferiorità.

Mano a mano che tali cartoline si diffondevano (parliamo di fine Ottocento – inizi Novecento), i Giapponesi abbinavano sempre più quelle figure ad un’idea di popolo primitivo e selvaggio.

Ainu-menoko divenne in breve un’espressione utilizzata per sottolineare la debolezza ed arretratezza delle donne Ainu.

Naturalmente la visione e condizione delle donne Ainu non era limitata solo alle immagini.

D’effetto è infatti l’espressione otsunen muko che vediamo meglio nel prossimo paragrafo.


Gli Otsunen-muko, il dramma dei “mariti dell’inverno trascorso”

Può sembrare un’espressione poetica. In realtà, non è niente di più lontano!

Vediamo perché.

In epoca Meiji (1868-1912), l’isola di Hokkaido rappresentò per il Giappone una sorta di “Terra Promessa” per tante famiglie messe in difficoltà dalla povertà.

Molti uomini partirono per l’isola più settentrionale dell’arcipelago in cerca di terreni da coltivare, fortuna e… sì, donne. La vita in Hokkaido era eccezionalmente difficile, ma gli Ainu insegnarono ai Giapponesi come cavarsela.

Cos’è dunque uno otsunen-muko?

Otsunen-muko (越年婿)
letteralmente “il marito dell’inverno trascorso”.

Un fenomeno che iniziò a verificarsi sempre più di frequente è quello degli otsunen-muko, i mariti dell’inverno trascorso.

Si trattava di uomini che arrivavano in Hokkaido all’inizio dell’inverno, frequentavano una donna Ainu e all’inizio della primavera ripartivano per le loro case, dove spesso vivevano con le loro mogli e i loro figli. Le donne Ainu invece rimanevano in Hokkaido, spesso incinte e senza nessun tipo di aiuto.

Spesso accadeva che intere famiglie Ainu venissero distrutte da questa pratica, che naturalmente avveniva in assenza dei mariti, impegnati nella stagione di caccia.

Non era raro che, a causa delle violenze, le donne Ainu arrivassero a suicidarsi.

Moltissime, trattate da concubine, erano costrette a trovare dei modi per abortire.

E non dimentichiamo:

  • La diffusione di malattie, come la sifilide e la tubercolosi;
  • Il drastico calo della nascite tra gli Ainu;
  • La pratica della prostituzione: ragazze di 15, 16 anni vendute ai bordelli.

Il popolo Ainu era letteralmente piegato da questo trattamento, e moltissimi morirono, per povertà o per malattie.

Una soluzione a questo problema parvero i “matrimoni misti”. Ma lo fu davvero?


I matrimoni tra donne Ainu e Giapponesi: una vera soluzione alla disuguaglianza?

Quando gli Ainu pensarono di far sposare le loro donne ad uomini giapponesi, l’obiettivo era che i loro discendenti diventassero Giapponesi.

Credevano quindi che la loro progenie sarebbe stata finalmente parte dello Yamato minzoku, il “popolo giapponese” (ben distinto dagli altri popoli abitanti la Terra del Sol Levante).

Perché il Giappone è chiamato anche Yamato? Scoprilo qui

Serve forse dire che tutto ciò non avvenne? Sicuramente non come gli Ainu si erano immaginati.

Il Novecento: un secolo di disuguaglianze taciute

Cosa accadde alle donne Ainu?

Quello che accade sempre, anche oggi, nelle situazioni di povertà, quando i rapporti di potere non sono equilibrati.

Bullismo, violenza domestica, adulterio, gioco d’azzardo, disoccupazione sono solo alcune delle conseguenze, forse quelle più evidenti. Molte vessazioni sono sempre avvenute al riparo delle mura domestiche, lontane da qualsiasi tipo di opinione e condanna pubblica.

Oltre a ciò, molte donne e i loro figli subirono ancor più il peso di essere parte del proprio popolo.

Nel caso di famiglie “miste” (se mi si può perdonare la dicitura), accadde spesso che il padre giapponese non riconoscesse i figli, allorquando questi ultimi presentassero tratti somatici propri degli Ainu.

E l’istruzione?

Un diffuso analfabetismo ha sempre impedito alle donne di trovare lavori dignitosi e ben remunerati.

Questa condizione in cui versano da decenni ha fatto sì che nel tempo le donne Ainu stesse si vergognassero non solo di essere Ainu, ma anche di più: di essere donne Ainu.

Sebbene abbiano provato a migliorare la propria vita, magari attraverso gli studi a scuola, il bullismo e la discriminazione erano ostacoli spesso insormontabili.

E oggi? Sono cambiate le loro condizioni?

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1. Foto scattata a Shiraoi (Hokkaido) nel 2003

Mi piacerebbe poter dire di sì.

Mi piacerebbe poter dire che una ricerca condotta nel distretto di Hidaka negli Anni Sessanta non ha dato i risultati che seguono.

Mentre il 100% dei giovani Ainu non avrebbe avuto nulla in contrario a sposare un “Giapponese”, dall’altra parte solo il 10% dei Giapponesi avrebbe gradito sposare un Ainu.

Questo è solo un caso, per quanto emblematico, delle decine di testimonianze di discriminazione che si possono trovare.

Per il timore e la vergogna di far sapere agli altri e alle proprie famiglie cosa stesse accadendo veramente loro, per secoli hanno taciuto.

Solo recentemente, hanno iniziato a far sentire le loro storie.

Nel 2003, un rapporto del CEDAW, la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, nei paragrafi dedicati alla situazione femminile in Giappone, ha evidenziato:

  1. La mancanza di informazioni riguardanti la situazione delle donne appartenenti a minoranze etniche (quindi non solo donne Ainu!);
  2. La molteplicità di forme di discriminazione perpetrate ai danni delle donne, che si riflettono su numerose sfere della vita: livello di istruzione, tasso di occupazione, welfare.

Questi episodi di violenza perpetrati nel silenzio possono trovare una voce solo se mettiamo a disposizione la nostra.

E quindi, per tornare alla domanda iniziale?

Secondo te, si può essere i più discriminati tra i discriminati?


FONTI:

  • Batchelor, John. (1892). Ainu Women, The Ainu of Japan. Londra; Religious Tract Society (pp. 34-45).
  • Matsumoto, M. (2016). Is it possible to hear the voice of the Ainu women? Silence and Empowerment. In Hossain, K. e Petrétei, A. (a cura di). Understanding the many faces of Human Security. Perspectives of Northern Indigenous People. Paesi Bassi; Brill (pp. 105-122).
  • Tahara, R. (2018). Ainu Women in the Past and Now. In Maruyama H. (Author) & ROCHE G., MARUYAMA H., & KROIK Å (Eds.), Indigenous Efflorescence: Beyond Revitalisation in Sapmi and Ainu Mosir (pp. 151-156). Australia: ANU Press (consultato il 24 agosto 2021).
  • Committee on the Elimination of Discrimination against Women (CEDAW). 2003. Report of the Committee on the Elimination of Discrimination against Women, General Assembly, Official records, Fifth-eighth session, Supplement No. 38 (A/58/38) (consultato il 25 agosto 2021).

FOTO:

  1. David Ooms from Belgium, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, via Wikimedia Commons.
  2. Frontespizio di “The Ainu of Japan” di J. Batchelor, Londra 1892, public domain, via Internet Archive.
  3. Autore sconosciuto, public domain, via Anglican History
  4. “The Ainu of Japan” di J. Batchelor, Londra 1892, public domain, via Internet Archive. Pag. 36.
  5. Torbenbrinker, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons.


Elisa Borgato

Lavoro come Web Editor specializzata in Viaggi & Turismo, ma qui sono semplicemente la 'Cantastorie del Giappone'. Scrivo da sempre. Amo la natura, viaggiare in solitaria, la spontaneità e gli imprevisti (anche se quest'ultimi non sempre o, almeno, non subito!). Sono laureata in Lingue e Culture dell'Asia Orientale... Sì, ho studiato il giapponese, e dal 2021 ho deciso di trasformare questa mia passione per l'Asia in un blog, LeggiMee. Qui scrivo del Giappone che mi più mi appassiona, ma racconto anche storie brevi e mi lascio andare all'improvvisazione!

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