Arrivo a Kobe: quaderni di viaggio

Il mio arrivo a Kobe fu uno di quei momenti che ricorderò per sempre.

Smarrimento, felicità, gioia, paura.


Arrivo a Kobe: quaderni di viaggio

Stavo per trascorrere un mese in Giappone.

Di nuovo, occhieggiavo dal finestrino dell’aereo quella terra dalle linee sinuose che già mi aveva accolta tempo addietro.

Dall’alto, era un morbido verde che sfumava nel blu dell’oceano e non sapevo dire se tra quel diorama di luci ci fosse anche lei, Kōbe.

Il viaggio era stato lungo, frammisto ad una sottile eccitazione che si perdeva nell’infinito di quel cielo di nuvole.

Volavamo sempre più bassi, sempre di più.

Con il viso rovente schiacciato contro il freddo vetro, ad ogni curva dell’aereo una nuova baia si palesava ai miei occhi. Ed ogni baia sembrava quella di Ōsaka e Kōbe. La mia baia.

In verità, sentivo di essere già parte di quel mondo, come se ne condividessi il prezioso segreto, un segreto che, intimamente, già sapeva di casa. Come se non me ne fossi mai davvero andata.

Intanto, del tutto incurante dei miei pensieri, l’aereo andava nella placida sera.

E lì, isola di luce che galleggiava nella buia sera, l’aeroporto di Ōsaka. Più in là, satelliti di una ben più grande stella, Amagasaki e Kōbe, così vicine che quasi avrei potuto afferrarle.

Non appena si aprì lo sportello dell’aereo, mi trafisse tutta la stanchezza del viaggio.

Parole, pensieri, valigie, euro, yen, dogana. Tutto sembrava turbinare confusamente intorno a me.

Con l’ultimo barlume di lucidità, chiesi un biglietto per Sannomiya, cuore di Kōbe. Qualche giorno prima, Google Maps mi aveva garantito che quel pullman sarebbe stato il mezzo più veloce per la mia nuova, temporanea dimora. Non chiesi nemmeno consiglio al gentile impiegato della biglietteria. Afferrai il mio lasciapassare verso quel nuovo mese di possibilità, e mi diressi alla fermata con sicurezza. Kōbe era sempre più vicina.

Il pullman scivolava lungo la strada che costeggiava il mare. Alla mia sinistra, intravidi qualche famiglia che si attardava a giocare in spiaggia. Sulla destra, correvano rapide le montagne. A poco a poco, il mio sogno stava prendendo forma.

D’un tratto, le case si fecero più numerose e sempre più vicine, affollandomi la vista. L’aeroporto brillava fioco dietro di me. Gli edifici erano sempre più alti, quasi a sfidare il cielo. Al contempo, le strade si facevano deserte. Poche macchine a sfrecciare nella notte.

Sannomiya. Un castello di luci e linee verticali. Casa mi sembrò più lontana che mai.

Lasciai il confortevole silenzio del pullman e mi feci strada in quell’edificio di vetro e cemento.

Nel tabellone dei treni in partenza, cercai di carpire gli ideogrammi di casa. Ma non li vidi. I minuti passavano e, nonostante rileggessi più e più volte quell’infinito elenco di treni, il mio non compariva. Attraverso il denso mare di persone che fluiva dentro quella piccola sala, intravidi una porta. La varcai. Altre sale, altre scale.

La stazione si sviluppava su più piani e più edifici. E, dunque, più linee, più tabelloni.

E fu così che mi investì d’un soffio quella sensazione di totale smarrimento che accompagna sempre l’inizio di un viaggio. Non ero che un minuscolo tassello in quella moltitudine.

Vagai da una parte all’altra della stazione. Scoprii un’intera città sotterranea che, nonostante l’orario, era più attiva che mai. Supermercati, edicole, café in stile parigino, pasticcerie di dolci giapponesi, creperie, postazioni per scommesse e, persino, la sede di una radio locale.

Bighellonavo avanti e indietro in quella meravigliosa vetrina. Andavo e ritornavo.

Fu allora che vidi ciò che bramavo di più: il tabellone con il treno per casa. La stazione e il binario capeggiavano a tinte bianche nella moltitudine di caratteri.

Incapace di manifestare un seppur piccolo cenno di gioia, mi diressi di corsa alle biglietterie automatiche. Nel giro di pochi secondi, una sottile fila di uomini silenziosi si era già formata dietro di me. Nulla trapelava dal loro statuario contegno, ma era come se sentissi la loro frustrazione che si sommava alla mia per l’incapacità di capire cosa fare davanti a quella macchinetta.

Ricordo che delle lacrime mi bruciarono le guance. Stanchezza e sconfitta. Di nuovo, smarrimento.

Salii infine sul treno grazie ad una ragazza dai lunghi capelli. Mi mostrò come comprare il biglietto e come salire al binario. Grata oltre ogni dire, ci salutammo poche fermate dopo.

Mentre guardavo la sua esile figura sfumarsi nella notte, mi resi conto che c’ero arrivata, alla fine. Kōbe mi stava attendendo…


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Elisa Borgato

Lavoro come Web Editor specializzata in Viaggi & Turismo, ma qui sono semplicemente la 'Cantastorie del Giappone'. Scrivo da sempre. Amo la natura, viaggiare in solitaria, la spontaneità e gli imprevisti (anche se quest'ultimi non sempre o, almeno, non subito!). Sono laureata in Lingue e Culture dell'Asia Orientale... Sì, ho studiato il giapponese, e dal 2021 ho deciso di trasformare questa mia passione per l'Asia in un blog, LeggiMee. Qui scrivo del Giappone che mi più mi appassiona, ma racconto anche storie brevi e mi lascio andare all'improvvisazione!

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